28 ottobre 2013

urban network


Ieri durante la giornata conclusiva della mostra “Dall’urbanistica utopistica all’archeologia industriale” Angina Factory’s ha presentato il progetto di un network per la condivisione di conoscenze e idee per poter proseguire la riflessione iniziata con questa mostra.

Il network che idealmente segue il percorso che va dall’archeologia industriale all’eco-smart city oltre ad essere principalmente un osservatorio sulla città di Vigevano toccherà le tematiche che sono sempre state promosse da Angina Factory’s:  arte di sopravvivenza, sostenibilità, integrazione, attivismo urbano, DIY, partecipazione, agricoltura, architettura, guerrilla, arredo urbano, citizen journalism, condivisione, interventismo spontaneo…  e sarà fruibile attraverso il nostro blog e un gruppo dedicato su fb! stay tuned!







Dall'urbanistica utopistica all’archeologia industriale

In occasione della Rassegna Letteraria di Vigevano 2013, Angina Factory's e l'associazione Arte il Faro presenteranno dal 19 al 27 ottobre all’interno del Fabbricone di via Trento la mostra "Dall'urbanistica utopistica all’archeologia industriale", che guiderà il visitatore dalla nascita della città moderna dovuta ai primi insediamenti industriali, fino alla morte della fabbrica, la nascita dell'archeologia industriale e il caos conseguente.Durante l’inaugurazione il 19 ottobre alle ore 17.30, avrà inizio la realizzazione di un'opera collettiva dal titolo "Urban Attack” che si protrarrà per tutta la durata della mostra. I visitatori potranno interagire con gli artisti e contribuire alla creazione di una città ideale con una divertente tecnica che traendo spunto dal collage si presenta come un analogico "copia e incolla".Verrà inoltre allestito un punto di lettura permanente a cura del gruppo di studio “Amici di Giovanni Rota” e un punto video a cura della Società Storica Vigevanese e dell’associazione Officina delle Idee.
In conclusione, il 27 ottobre alle ore 21.00, Angina Factory’s Media Lab proporrà "Industrial Utopia", una performance ispirata ai rumori e ai gesti della fabbrica.

























FABBRICONE via trento 42 - vigevano PV
ARTISTI IN MOSTRA: alice accardo - giada carnevale schianca - el senor vombato - marco favazzi - michele rinaldi - chiara luise - matteo suffritti - simone padovani - michela spezza - manu zuccarotta
INAUGURAZIONE: sabato 19 ottobre ore 17.30
PERFORMANCE ANGINA FACTORY'S MEDIA LAB: domenica 27 ottobre ore 21.00

ORARI: 17.30 - 22.00 
weekend tutto il giorno
INGRESSO GRATUITO

L’urbanistica nasce come disciplina alla fine dell‘800, ma in realtà la razionalizzazione degli spazi risale all’epoca della polis greca, quando Ippodamo idea la città a pianta ortogonale divisa per aree funzionali, della quale abbiamo testimonianze a Mileto e Pirene.
Si dovrà aspettare il Barocco per ritrovare degli studi sulla struttura urbana. La città infatti aveva perso importanza e la si riscopre ora nella ricerca di una “città ideale”. La città conquista un ruolo decisivo rispetto alle arti in quanto diventa il luogo in cui esse nascono, si evolvono e si esprimono. L’unico esempio di centro cittadino non difensivo razionalmente progettato e realizzato sul modello della “città ideale” quattrocentesca è quello di Vigevano.
Dalle prime città propriamente dette, che troviamo in Mesopotamia in un periodo antecedente al 4000 a.C., trascorrono 5 millenni di “città preindustriale”.
La città era nata come centro di mercato, con la produzione che avveniva al di fuori di essa.
Con la prima rivoluzione industriale la città diventa centro produttivo. I nuovi impianti industriali innescano l’inurbamento e i processi migratori e saranno il motore dello sviluppo urbano per oltre due secoli.
Un cambiamento così drastico e repentino porta con sé numerosissimi problemi e nuove sfide per far fronte al collasso della città che sembrava inevitabile, non essendo presenti i servizi e le strutture adatte per accogliere i nuovi abitanti.
Nascono in questo periodo le prime utopie urbanistiche che a differenza della teorizzazione della “città ideale” del ‘400 vogliono provare a risolvere problemi presenti e reali.
Robert Owen alla fine del ‘700 tentò di condurre la sua fabbrica di New Lanark in Inghilterra secondo dei principi ideali, che si basavano sulla creazione di sicurezze per gli operai all’interno della fabbrica, ma anche fuori. A New Lanark lavoravano oltre 2000 persone: un vero e proprio villaggio nato per la fabbrica e che gravitava attorno alla fabbrica. Owen oltre agli alloggi per i lavoratori fece aprire dei negozi cooperativi per garantire la buona qualità dei prodotti e i prezzi contenuti, eliminò il lavoro minorile e creò la prima scuola materna in Gran Bretagna.
In Italia nel 1875 l’imprenditore liberale Cristoforo Crespi acquistò un terreno sull’Adda per realizzare quello che sarebbe diventato un villaggio operaio moderno. Come Owen un secolo prima i Crespi sostengono che la qualità della vita dei dipendenti deve essere tutelata, anche per il benessere dell’azienda stessa. Con una serie di strategie che coinvolgono urbanistica, sociologia, ma anche estetica, i Crespi realizzano un villaggio a misura d’uomo, con villette per gli operai (inizialmente tutte uguali secondo i canoni dell’isonomia greca), la scuola, l’ambulatorio, il teatro, il dopolavoro, la chiesa e, non scontato per l’epoca, il lavatoio con l’acqua calda, il tutto in un contesto ordinato e finemente decorato e , altrettanto non scontato, immerso nel verde.
Crespi all’inizio dell’800 importava il cotone dal Sud America e dai paesi dell’est e le sue esportazioni superavano il 30% della produzione, quindi non bisogna collegare acriticamente la globalizzazione come caratteristica della città postindustriale e leggendo questi dati si capisce inoltre come l’autarchia fu, se non determinante, una delle maggiori cause della vendita della fabbrica alle banche negli anni ’30.
L’opera di Crespi non seguiva un modello e non fu un modello, ma in Italia altri due imprenditori, Rossi e Leumann, crearono situazioni analoghe a Schio e a Collegno.
La questione sociale e la condizione dei lavoratori fu un tema dibattuto anche dagli architetti. Infatti il modello della villetta inglese usato da Crespi per i suoi operai è la “casa salutare” presentata all’esposizione di architettura.
Nel 1898 viene pubblicato “To-morrow: a peaceful path to real riform” di Howard, in cui viene teorizzata la “città giardino”. Nel 1904 gli architetti Unwin e Parker vincono il concorso per la realizzazione della prima città giardino , concretizzando le idee espresse da Howard. Influenzati dalle idee di Ruskin e di Morris, padre dell’Arts and Crafts, utopisticamente vogliono riconciliare la città con la campagna, non riuscendo a presentare una reale soluzione al caotico inurbamento che si stava verificando e ai reali problemi della società. Nonostante le buone intenzioni degli esponenti del movimento, le prime città realizzate, come Letchworth in UK e Hellerlau in Germania, finiranno per essere il modello dei moderni quartieri residenziali esclusivi.
Nel 1902 Amsterdam  approva la legge di riforma urbanistica, diventando la prima città con una politica della casa estesa a tutto il territorio. L’amministrazione cittadina decise di avvalersi non solo di architetti e ingegneri, ma anche di medici, igienisti e avvocati per stendere il nuovo piano. Gli architetti invece, riuniti nella Scuola di Amsterdam, risposero con una concezione visionaria in cui si voleva garantire a tutti i cittadini una casa non solo decente, ma anche curata dal punto di vista estetico.
La legge di Amsterdam domanda per la prima volta la responsabilità degli standard dell’edilizia sociale alle municipalità.
Il migliore esempio di questa concezione è rappresentato dal quartiere di De Dageraad, realizzato nel 1918, in cui si vede chiaramente la distanza abissale con i casermoni popolari dello storicismo che non sempre riuscivano a garantire luce e aria. Recita una targa: “Un sogno in mattoni - Niente è abbastanza bello per i lavoratori che hanno dovuto vivere tanto a lungo senza bellezza - dice Michel De Clerk insieme a Piet Kramer, architetti di questo sogno in mattoni. Ogni dettaglio è curato, dagli infissi al cornicione. Le curve sporgenti delle facciate ricordano una nave, con mattoni rossi come onde nella sua scia. Dall’acqua si arriva a sinistra e a destra, ai due piazzali sul retro, dove il complesso mostra un profilo completamente diverso. Le parti che danno sulla strada da questa parte sono costruite con facciate diverse che guardano sulla piazzetta richiamando le classiche case a schiera”.
In Italia nel 1903 Luigi Luzzatti propone e fa approvare una legge sulle case popolari che recita “case sane e a buon mercato”, ma che nella struttura totale risulta molto lontana dal percorso olandese.
Negli anni ’30 la questione sociale della città industriale non è ancora risolta.
L’idea dell’architetto Alfred Messel che l’architettura abbia un ruolo determinante all’interno del sistema sociale è ormai opinione diffusa e i più grandi architetti dell’epoca raccolgono la sfida.
Frank lloyd Wright come molti di quell’epoca aveva letto Ruskin, ma si discosta dall’idea di comunità che fino a quel momento aveva caratterizzato le utopie e propone con “Usonia” tante villettine autosufficienti. Pubblica nel 1932 “The disappearing city” contenente le idee che potrà mettere in pratica nel 1935 a Broadcre City. Frank Lloyd Wright inventa così il modello dei suburbs moderni.
Nel 1935 Le Corbusier pubblica “La ville radieuse”, ma il suo progetto per una città ideale risale al 1922, “Une ville contemporanie”, studiata e progettata per ospitare 3 milioni di abitanti. Nella zona che Le Corbusier destina agli alloggi si trova ancora in forma grezza l’”unitè d’abitation” che lo rese celebre gli anni successivi.
Una risposta immediata e concreta provarono invece a darla gli architetti Ernst May, allievo di Unwin, e Margarete Shutte-Lihotzky, che realizzarono un ottimo esempio di edilizia sociale creando la Nuova Francoforte.
Coinvolsero nel loro progetto alcuni graphic designer per progettare un nuovo sistema di segnaletica neon e numerosi architetti in modo da proporre soluzioni architettoniche diversificate e non ripetitive. Nella sua rivista mensiel “Das Neue Frankfurt” May tratta di letteratura, arte, educazione, film, teatro e radio, considerandoli alla base della cultura urbana. L’architetto Margarete Shutte-Lihotzky, che non aveva mai cucinato, crea la moderna cucina monoblocco, progettata per risparmiare spazio, ma soprattutto per far risparmiare tempo alle donne, rendendo più agevole l’utilizzo della cucina. Oltre a fare installare una cucina monoblocco in ogni appartamento, realizzò dei giardini di infanzia basati sul metodo Montessori.
Le idee e le realizzazioni di May e della Shutte-Lihotzky influenzarono profondamente Catherine Krause Bauer Wurster, che negli USA promosse il movimento degli “Housers” per un urbanistica sociale.
L’esperienza di Owen e del paternalismo illuminato di Crespi, Rossi e Leumann comunque non andò persa e la si ritrova ad esempio nell’opera di Adriano Olivetti, Ermenegildo Zegna, Giovanni Borghi e recentemente in quella di Bruno Cucinelli. Elemento fondamentale di questi filantropi è l’attenzione che pongono nei confronti della natura e della cultura. Bisogna sottolineare l’impegno di Zegna nella tutela del territorio con la piantumazione di 500000 tra conifere, rododendri e ortensie inaugurando nel 1938 la Panoramica Zegna.
Olivetti oltre a creare dei trend in architettura e design chiamando Sottsass, Bellini, Vittoria.. dal 1946 pubblica la rivista “Comunità” che fa trovare ai dipendenti nella vasta e variegata biblioteca aziendale, su cui firmano Silone, Pavese, Montale..
Le prime abitazioni furono costruite nel 1926 per iniziativa del padre Camillo in una zona che prese il nome di Borgo Olivetti. In seguito sorsero i quartieri di quartiere di via Castellamonte, il quartiere di Canton Vesco a Ivrea seguiti da La Sacca e il quartiere Bellavista. Le abitazioni erano date in affitto o a riscatto a condizioni decisamente vantaggiose rispetto ai prezzi di mercato e i dipendenti potevano usufruire dell’assistenza gratuita e del finanziamento agevolato per la costruzione o la ristrutturazione delle abitazioni.
In Italia la realizzazione di un quartiere ideale venne tentata da Piero Bottoni nel 1945, che in occasione dell’ottava edizione della Triennale di Architettura progettò e realizzo il QT8 di Milano, in risposta ai danni della guerra e in opposizione alle case di ringhiera milanesi che l’architetto riteneva buie e poco funzionali. La guerra infatti aveva distrutto numerosi edifici e Bottoni risolse lo smaltimento delle macerie con la costruzione di una montagnetta artificiale dedicata alla moglie Elsa Stella: l’ancora visibile Monte Stella. Inserì nei suoi appartamenti alcune strategie per migliorare la qualità della vita delle famiglie, come il vano passa-piatti e i letti a scomparsa.
Nel 1937 Bottoni presenta al Ciam di Parigi oltre 400 pagine di Piano della Valle d’Aosta, illustrato come “Urbanesimo di montagna” e promosso dallo stesso Olivetti.
L’utopia porta già nel nome il fatto che non sia riscontrabile nella realtà e tutti quei percorsi così auspicabili, ma comunque pragmaticamente perseguibili non si sono mai realizzati su larga scala.
In Italia dal dopoguerra e con la selvaggia lottizzazione degli anni ’60, si verifica la nascita di interi quartieri di anonimi casermoni abbandonati a loro stessi senza servizi o particolari spazi comuni, a causa della mancanza di una legislazione urbanistica unitaria. Il boom economico di quel periodo che è caratterizzato dall’iniziativa privata mette fine alle esperienze comunitarie, e nonostante sia caratterizzato dall’aumento dei salari e dell’ occupazione porta con sé numerose contraddizioni.
La parola “archeologia industriale” si trova per la prima volta in Inghilterra a metà degli anni ’50 in una pubblicazione di Michael Rix. La fabbrica che aveva plasmato la città moderna qualche secolo prima e che solo qualche decennio prima era stata esaltata dai futuristi i quali ad esempio indicarono nel loro manifesto del 1934 la fabbrica del Lingotto di Torino come la “prima invenzione costruttiva futurista”, passa concettualmente alla storia e al passato.
La città postindustriale e deindustrializzata ci arriva in eredità dagli anni settanta, senza che si fosse risolto il conflitto della città industriale. La società industriale è stata superata non per le modifiche introdotte nel sistema di produzione, ma nel modello di regolamentazione economica.
Touraine inizia a parlare di postindustriale già nel ’69.
L’urbanesimo è comunque inarrestabile e nel 2007 per la prima volta nella storia la popolazione delle città supera quella della campagna. Il superamento della città industriale dovrebbe portare alla terziarizzazione con la creazione di tecnopoli, centri di ricerca e servizi, ma ad esempio la situazione dei ricercatori italiani e l’erosione del welfare fa sorgere alcuni dubbi.
Il tessuto urbano diventa anomalo. Dal 2007 l’indice della produzione industriale italiane ha perso 20 punti percentuali e intanto continuano a crescere aree “ex”: ex Ansaldo, ex Pirelli, ex Falck, ex Ursus, ex Breda..
La distanza tra ricchi e poveri che nella città industriale si era progressivamente ridotta torna a crescere.
Crescono sì le occupazioni di tipo intellettuale ad alto reddito, ma iniziano ad ingrossarsi le fila di lavoratori che forniscono servizi non specializzati e che si spostano verso gli strati inferiori della struttura sociale, come in un “dripping” diverso da quello ipotizzato da Milton Friedman, che ipotizzava invece un “dropping of money out of a helicopter”.
L’esigenza vera di pianificazione e riqualificazione rimane attuale e come suggerisce il sociologo Jaques Donzelot c’è la necessità di fare città e fare società.
AF.


il gruppo di studio Amici di Giovanni Rota, creato da Angina Factory's nel 2013,  consiglia (google books)